Il pronunciamento della Corte Costituzionale, che in due sentenze ha dichiarato la legittimità del payback sui dispositivi medici, riaccende il conflitto a distanza tra le imprese del settore e la Regione Toscana, che sugli introiti del payback ha fatto affidamento per costruire i propri bilanci. E che, senza un via libera dal governo per l’arrivo dei circa 420 milioni relativi al periodo 2019-22, a fine 2023 ha scelto – fra mille polemiche – di aumentare l’addizionale Irpef in nome dell’equilibrio di bilancio, per non dover operare tagli alla sanità.
“A questo punto io vado all’attacco”, dice un soddisfatto Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, che vuole rimarcare il legame tra il payback e le tasse, invocando un decreto per l’escussione dei 420 milioni in ballo come quello costruito per il periodo 2015-18 (e contestato al Tar del Lazio dalle imprese) dall’allora ministro Roberto Speranza: “A questo punto è chiaro che l’aumento del gettito fiscale non deriva dalla Regione, ma deriva dalla politica del governo”, sostiene, e dunque da Roma “dicano se hanno intenzione di attuare con quel decreto la possibilità che la Regione possa abbattere l’addizionale Irpef con 420 milioni, una cifra consistente”. Tradotto: “Se il governo fa questo atto, noi togliamo l’incremento dell’addizionale Irpef”, conclude Giani.
Confindustria risponde: “La sanità non si paga coi soldi delle imprese”
E se pure la Consulta salva il payback, “la sanità non può essere pagata con i soldi di chi fa impresa”, ribatte con forza Massimiliano Boggetti, coordinatore della Commissione sanità di Confindustria Toscana, e fino al dicembre scorso presidente di Confindustria Dispositivi Medici. “Non riesco a comprendere che una regione come la Toscana possa immaginare di curare i propri cittadini chiedendo contributi solidali alle imprese”, aggiunge, attaccando la Consulta che “invece di essersi espressa sui punti sollevati dal presidente del Tar ha fatto sicuramente una pronuncia di carattere politico”, e rivolgendo alla politica l’appello di “ragionare, perché non è così che un Paese si sviluppa”.
Il ragionamento di Boggetti si focalizza sulla strategia di Giani: “Una Regione che ragiona in questo modo – sostiene – secondo me sta facendo degli errori sostanziali. Prima di tutto perché la Regione Toscana ha scelto le scienze della vita come uno dei settori trainanti dal punto di vista economico e occupazionale, e non può pensare da una parte di investire in questo settore ma dall’altro di chiedere contributi solidali”. Dunque, accusa l’imprenditore, “quale diventa l’attrattività di questa regione nei confronti delle industrie, dei capitali esteri che vogliono venire qui a fare industria e creare occupazione e indotto? Questa è una riflessione molto seria, perché poi si dice si abbassa l’Irpef alle persone, ma quella è una tassa che si fa sui guadagni: se poi uno non ha più lavoro, l’Irpef si azzera…”.
“In Italia migliaia di aziende a rischio”
La questione, tuttavia, travalica i confini della Toscana: i 420 milioni invocati da Giani sono solo una parte dei due miliardi di euro in ballo a livello nazionale. “Gran parte delle imprese – sostiene Nicola Barni, presidente di Confindustria Dispositivi Medici – non solo saranno nell’impossibilità di sostenere il saldo di quanto richiesto dalle regioni, ma saranno altresì costrette ad avviare procedure diffuse di mobilità e licenziamento, ad astenersi dalla partecipazione a gare pubbliche e, in molti casi, a interrompere completamente la propria attività in Italia”.
L’associazione chiede dunque al governo – e lo fa anche Pmi Sanità, associazione nazionale delle piccole e medie imprese del comparto – di convocare un tavolo di crisi: Pmi Sanità parla di “imminente rischio fallimento per oltre 2mila aziende italiane, con la perdita di circa 200mila posti di lavoro”. Stime ancora più fosche sono citate dalle associazioni regionali fornitori ospedalieri: Aforp Puglia e Basilicata, Asfo Emilia Romagna, Asfo Sanità Umbria, Aform Marche, Afoc Campania, Asfoc Calabria , Toscana e Sardegna. Secondo i loro calcoli, infatti, 4mila imprese e 112mila posti di lavoro sono a rischio.
Leonardo Testai