contributo di Claudia Del Re, avvocato dello Studio Legale Del Re.
Dipendenti e datori di lavoro possono accordarsi che la prestazione lavorativa, anziché in modalità di orario di lavoro full-time, sia svolta in orario part-time. Il D.Lgs. 81/2015 contiene una serie di disposizioni volte a regolamentare la trasformazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time. Il diritto alla trasformazione, sia nel settore pubblico che privato, è espressamente previsto dalla legge al ricorrere di determinate condizioni che riguardano condizioni patologiche del lavoratore, nonché la necessità di assistenza dei congiunti. La priorità alla trasformazione è riconosciuta in caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti che riguardino un familiare del lavoratore. E’ riconosciuto il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale anche alle lavoratrici vittime di violenza di genere a condizione che vi siano disponibilità in organico.
Quanto dispone il D.Lgs. 81/2015 apre anche scenari di particolare delicatezza. L’art. 8 del D.Lgs. 81/2015 prevede che “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.
Recentemente, la Suprema Corte (ordinanza n.12244/2023) ha avuto modo di esprimersi sui confini applicativi della disposizione rilevando come “la previsione dell’art. 8 cit., se esclude che il rifiuto di trasformazione del rapporto in part time possa costituire di per sé giustificato motivo di licenziamento, non preclude la facoltà di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del part time ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere di prova posto a carico di parte datoriale. In tal caso, ai fini del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, occorre che sussistano e che siano dimostrate dal datore di lavoro effettive esigenze economiche ed organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto; l’avvenuta proposta al dipendente o ai dipendenti di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e il rifiuto dei medesimi; l’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di riduzione dell’orario e il licenziamento”. In tal modo, “il licenziamento non è intimato a causa del rifiuto ma a causa della impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo pieno e del rifiuto di trasformazione del rapporto in part-time”.
Quindi, se il rifiuto del lavoratore di trasformare il suo rapporto di lavoro in part-time non costituisce in sé un giustificato motivo di licenziamento, al datore di lavoro non è preclusa la possibilità di recedere dal rapporto. Il limite al licenziamento, dunque, non impedisce il licenziamento quando vi è l’impossibilità di utilizzare una prestazione a tempo pieno congiuntamente al rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro in un part-time.
L’avvocato Claudia Del Re è professore a contratto in Gestione della Brevettazione e della Proprietà Intellettuale presso Università degli Studi di Firenze e avvocato dello Studio Legale Del Re.