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08 novembre 2024

Beko al Mimit senza un piano, si avvicina la chiusura di Siena

In tutta Italia duemila posti a rischio: per l’azienda c’è “sovraccapacità strutturale”, e il settore del freddo è in perdita.

Leonardo Testai

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Nessun piano industriale come auspicato, ma un’analisi preliminare che conferma i timori già emersi: lo stabilimento Beko Europe di Siena, con i suoi 299 addetti, è a fortissimo rischio di chiusura. L’esito dell’incontro al ministero delle Imprese e del Made in Italy, con il ministro Adolfo Urso e la sottosegretaria Fausta Bergamotto, è stato accolto con varie sfumature di delusione da istituzioni e sindacati: il Ministero chiede ora la presentazione del piano industriale, sulla base del quale convocare un nuovo incontro presso il Mimit – si parla del 20 novembre – e avviare un confronto con tutte le parti interessate.

Il coordinamento nazionale di Beko di Fim, Fiom, Uilm ha proclamato quattro ore di sciopero nazionale per opporsi a qualsiasi ipotesi di chiusura o di licenziamento. “Siena è il sito che rappresenta il quadro più drammatico in termini di perdita di produzione di volumi – afferma Daniela Miniero, segretaria generale della Fiom-Cgil provinciale – e a fronte di ciò non si evince nessuna volontà di intervento in termini di investimento da parte della Beko, pertanto il destino sembra tracciato. E’ inutile sottolineare che questo scenario rappresenterebbe per Siena una bomba sociale senza precedenti, oltre a vedere la fine di un pezzo di storia industriale del territorio”.

Il freddo di Beko è in rosso (e non rischia solo Siena)

Al tavolo di Roma l’azienda ha illustrato un aggiornamento sui risultati dell’analisi condotta sulla esistente struttura industriale e operativa, insieme a una valutazione congiunturale del contesto economico e del settore nel suo complesso. Un contesto che “vede un netto rallentamento della domanda in Europa – afferma Beko – una maggiore concorrenza da parte di produttori provenienti dal mercato asiatico, risultati aziendali negativi nonostante massicci investimenti e una sovraccapacità strutturale in Italia”.

Ne consegue che l’attuale presenza nei settori del lavaggio e della refrigerazione, afferma Beko, “sarà ulteriormente valutata per evitare altre perdite di cassa”: cattive notizie dunque per Siena (congelatori), ma anche Cassinetta di Biandronno (frigoriferi) in Lombardia, e Comunanza (lavatrici) nelle Marche. I posti di lavoro a rischio, nel complesso, sono circa duemila, per un’azienda che ha già dichiarato il game over in Polonia e Regno Unito. Al contrario, in Italia l’azienda annuncia di voler realizzare il centro di eccellenza per la cottura (con le produzioni di Cassinetta e di Melano, nelle Marche), mentre il sito campano di Carinaro, in provincia di Caserta, sarà mantenuto come centro di eccellenza per la distribuzione dei ricambi e le attività di ricondizionamento degli elettrodomestici.

Nessuna svolta sul Golden power

A fronte della posizione di Beko, Urso e Bergamotto “hanno invitato l’azienda – recita la nota del Mimit – a presentare a breve un piano industriale che preveda maggiori investimenti in Italia, anche usando gli strumenti che il Governo e le Regioni mettono a disposizione, al fine di scongiurare la chiusura di stabilimenti e a gestire al meglio eventuali ridimensionamenti occupazionali e produttivi”. La presidente della Provincia di Siena, Agnese Carletti, si dice delusa per l’atteggiamento del governo, “niente incisivo nei confronti dell’azienda ed evasivo rispetto all’utilizzo del Golden power” per scongiurare la chiusura dei siti Beko in virtù dell’interesse nazionale.

Lo strumento del Golden power viene evocato anche dalla Fim-Cisl, che ne ritiene “fondamentale” l’uso, e richiama l’azienda all’impegno “del mantenimento occupazionale sui siti italiani”. Ma la sensazione di molti è che le decisioni siano già state prese da tempo. “Abbiamo assistito a un teatrino inaccettabile”, attacca Barbara Tibaldi, segretaria nazionale Fiom-Cgil, secondo cui “oggi l’azienda prospetta chiusure annunciate di fatto negli scorsi mesi, a causa della riduzione del 50% dei volumi produttivi per la concorrenza con il mercato asiatico, di perdite consistenti di utili anche nel 2024 e dell’utilizzo di meno del 40% della capacità installata degli stabilimenti italiani”.

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Leonardo Testai

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