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Si moltiplicano, anche in Toscana, le operazioni realizzate da fondi di private equity e di venture capital che fanno ingresso nel capitale delle aziende per aiutarle nella crescita dimensionale, nelle acquisizioni, nell’espansione in nuovi mercati, nei progetti di innovazione e di sostenibilità. Nel 2023, secondo i dati di Aifi (l’associazione italiana del private equity, venture capital e private debt) e PwC, gli investimenti nelle aziende toscane sono stati 55, il numero più alto mai raggiunto (nel 2022 erano stati 50), per un ammontare investito di 775 milioni di euro (nel 2022 erano stati 347 milioni). Nel primo semestre di quest’anno gli investimenti sono 19, per un importo di 310 milioni di euro. Sul fronte del private debt (i prestiti obbligazionari) le società toscane interessate sono state sei nel 2023, per un ammontare di 980 milioni di euro.
Il fondo come partner per lo sviluppo
Di vizi e virtù del private equity si è parlato in un incontro promosso da Aifi e Ey nella sede della Regione Toscana, che ha ospitato alcune aziende del territorio protagoniste di operazioni con fondi d’investimento: The Data Appeal Company con Indaco Venture Partners sgr; l’aretina Seco con Fondo italiano d’investimento; Pertici Industries con Sici sgr; Kedrion con Fsi-Fondo Strategico italiano.
Prima di tutto serve una buona ‘chimica’
Per tutte le aziende la cosa fondamentale – nel momento in cui si sono avvicinate a un mondo poco conosciuto com’è quello del private equity – è stata trovare la persona “giusta” con cui dialogare, così da instaurare un buon rapporto e una buona “chimica”. Dunque prima ancora degli aspetti finanziari, a farla da padrone è stato l’aspetto umano. “L’ingresso del fondo nel 2018 fu uno choc – ha spiegato Mirko Lalli, ceo di The Data Appeal Company, che raccoglie e analizza dati di reputazione poi venduti a operatori perlopiù del settore turismo, ma anche a Banca Intesa, Coca Cola, Campari – perché noi all’epoca eravamo una startup e non capivamo neppure cosa chiedesse il fondo, così come non capivamo cosa diceva Ey”. Indaco Venture, guidato da Antonella Beltrame, sottoscrisse un round di investimento da tre milioni di euro dell’allora Travel Appeal (poi ribattezzata The Data Appeal), l’ha accompagnata durante tutta la fase della pandemia, poi ha fatto l”exit’ nel 2022 vendendo al gruppo italiano quotato Almawave.
La crescita dimensionale porta complessità diverse da gestire
“L’ingresso del Fondo italiano d’investimento ha trasformato un’azienda fondata e gestita da due famiglie com’era Seco, attiva nell’Internet of things, miniaturizzazione dei computer e intelligenza artificiale, in un’azienda managerializzata – ha spiegato il ceo Massimo Mauri -. Siamo passati da 50 milioni di fatturato con 9 milioni di ebitda nel 2018, a 209 milioni di fatturato con 51 milioni di ebitda nel 2023. Ma proprio quando un’azienda cresce si devono gestire complessità diverse, per questo può servire avere accanto un fondo”.
Il fondo può aiutare i piccoli a risollevarsi (anche) dal concordato
Diverso è il caso di Pertici Industries di Certaldo (Firenze), storica azienda produttrice di macchinari per la lavorazione di alluminio e pvc, nella quale il passaggio generazionale aveva causato una perdita di dipendenti e di clienti, fino a portarla al concordato. Sici, società di gestione del risparmio pubblico-privata (ha tra i soci la Regione Toscana attraverso Fidi Toscana), è entrata (insieme con un altro investitore) con un bond convertibile nel momento in cui le banche non concedevano più credito. “I primi anni sono stati difficili – ha spiegato il presidente di Pertici, Maurizio Cei – ma oggi l’azienda è passata da 5 a 20 milioni di fatturato, dal 5 al 15% di ebitda e da 20 a 90 addetti, abbiamo comprato un nuovo stabilimento e acquistato una partecipazione in una piccola società di ingegneria, e Sici ci è stata sempre vicina”. “Per noi è fondamentale trovare aziende che abbiano un’idea, un progetto, e valutare se riusciamo a dare un contributo”, ha spiegato il direttore generale di Sici, Guido Tommei.
L’imprenditore deve essere davvero convinto di fare il passo
Di taglia completamente diversa sono le operazioni di Fsi, il principale private equity che investe in aziende italiane: in 12 anni ha investito 500 milioni di euro nella lucchese Kedrion della famiglia Marcucci, quinto produttore al mondo di plasmaderivati, fino all’ingresso nel 2022 (anche) del fondo inglese Permira e ai risultati attuali: 1,5 miliardi di euro di fatturato, al 90% estero, e 250 milioni di ebitda. “In Kedrion abbiamo portato soldi e network di relazioni – ha spiegato Luca Capuano di Fsi – perché abbiamo trovato una famiglia con una visione, con l’obiettivo di diventare uno degli operatori leader al mondo nei plasmaderivati. Ma il private equity è un socio che può essere fastidioso – ha ammesso – e l’imprenditore deve essere davvero convinto di fare questo passo”.
Silvia Pieraccini