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Industria

09 ottobre 2024

Siena trema, stavolta la Beko (ex Whirlpool) rischia la chiusura

Silenzio dall’azienda sul piano industriale, ma è già game over per tre fabbriche in Polonia e Uk. Col fiato sospeso 300 dipendenti.

Leonardo Testai

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Trema l’ultima fabbrica di grandi elettrodomestici sopravvissuta in Toscana, e soprattutto tremano i suoi circa 300 lavoratori: dopo l’annuncio della chiusura di due stabilimenti in Polonia, ora sindacati e istituzioni chiedono a Beko Europe chiarezza sul futuro dello stabilimento ex Whirlpool di Siena. La società nata dalla joint venture fra Whirlpool (al 25%) e soprattutto la turca Arçelik (al 75%) è in una fase di razionalizzazione delle proprie attività.

Il primo sito di cui è stata preannunciata la chiusura è stato già a luglio la fabbrica di asciugatrici di Yate, in Inghilterra, e l’annuncio più recente della chiusura di due fabbriche a Łódź e Wrocław, con 1.800 posti di lavoro a rischio, in un paese dove il costo del lavoro è più basso rispetto all’Italia, e in un contesto dove da anni l’industria del ‘bianco’ prosegue la sua progressiva ritirata dalla penisola, non promette nulla di buono nemmeno per gli stabilimenti italiani: Siena, appunto, ma anche Fabriano e Comunanza nelle Marche, e Cassinetta di Biandronno in Lombardia, oltre alla sede amministrativa di Milano.

Siena già condannata per i volumi ridotti?

Il sospetto che circola – e che contribuisce a spiegare l’attivismo dei sindacati soprattutto in Toscana e nelle Marche – è che la multinazionale abbia già deciso di abbandonare Comunanza, storico stabilimento Ariston (poi Indesit Company) dove si producono piani cottura, e Siena dove si producono congelatori dagli anni ’60 con la Ignis di Giovanni Borghi. La situazione dello stabilimento di viale Toselli appare quella più delicata. La fabbrica viaggia al 30% del suo potenziale produttivo: da tempo gli operai stanno a casa per Cassa integrazione ordinaria, con una media che si è stabilizzata sulla decina di giorni al mese, e anche questo mese faranno 11 giorni di Cig. Siena è l’unico stabilimento di Beko Europe dove la produzione risulta in calo, e dove per l’anno prossimo si prevede un’ulteriore flessione, a fronte dell’assenza di investimenti. Se non proprio un ramo morto, quantomeno una fabbrica dalle prospettive dubbie.

“Siamo preoccupati perché sono stati chiusi stabilimenti in Polonia dove il costo del lavoro è più basso e non c’erano crisi di volumi come a Siena, che toccherà il record negativo quest’anno con 267mila pezzi prodotti”, sostiene Daniela Miniero, segretaria generale della Fiom-Cgil di Siena, secondo cui “per reggersi economicamente ne dovrebbe fare più del doppio”. Ma le scelte di Beko, osserva, seguono anche un’altra logica: “Le produzioni dei due stabilimenti polacchi in chiusura sono state portate in altre due fabbriche, una in Romania e l’altra in Turchia, che fanno capo ad Arçelik. Da queste scelte si evince, al di là, del piano ufficiale, l’intento della newco: sta chiudendo siti che considera poco funzionali, non perché necessariamente in perdita, ma perché c’è un piano più ampio di collocare le produzioni in un’area geografica ben precisa”.

Trecento dipendenti a corto di alternative

Per scongiurare la chiusura dello stabilimento potrebbe non essere efficace lo strumento del Golden power, evocato più volte nei mesi scorsi, e anche all’ultimo incontro in Regione Toscana con sindacati e istituzioni locali: l’attività dello stabilimento Beko di Siena, che produce congelatori, non rientra infatti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, né in ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. La chiusura di Siena aprirebbe un serio problema occupazionale: “L’età media dei lavoratori è intorno ai 50 anni – spiega Miniero – e se chiude Beko le loro professionalità non sono spendibili in nessuna altra realtà del territorio, Siena non ha più alternative industriali per ricollocare le persone”. Senza contare che, oltre i 300 lavoratori di viale Toselli, l’indotto ne porta con sé un altro centinaio.

Nell’incontro al ministero per le Imprese e il Made in Italy dello scorso giugno, Beko Europe si era limitata a fotografare la situazione esistente, rinviando all’autunno la presentazione del piano industriale. Il nuovo tavolo al Mimit chiesto già per il mese di settembre, secondo quanto emerso nei giorni scorsi dovrebbe essere convocato per fine ottobre. “Chiediamo adesso che sia effettivamente e formalmente convocato e che non si tratti di un incontro interlocutorio, bisogna che l’azienda si presenti mettendo in chiaro le proprie intenzioni sugli stabilimenti ex Whirlpool”, ha affermato Valerio Fabiani, consigliere speciale della Regione Toscana per il lavoro. “Come già successo in passato e in altre occasioni – ha sottolineato -, la Regione conferma la disponibilità ad accompagnare un investimento e un progetto industriale che convinca noi e il territorio con tutti gli strumenti disponibili”.

La Regione cerca (di nuovo) strumenti per il rilancio

Secondo quanto emerso dal tavolo regionale, proprio la Regione ha messo in campo risorse legate al Pnrr, destinate al rilancio aziendale, legate a un progetto di riqualificazione professionale e formazione dei lavoratori Beko: una proposta da avanzare all’azienda, chiamata a formulare un progetto di formazione e siglare il relativo accordo sindacale. Nel caso in cui Beko rifiutasse, potrebbe essere il segnale di una volontà di disimpegno. Nel caso in cui accettasse allora la Regione, come già evidenziato da Fabiani, sarebbe disponibile ad adoperarsi per aiuti e nuove risorse sulla base di un piano industriale per il rilancio. Un po’ come nella prima metà del decennio scorso, quando la Regione finanziò con 5 milioni di euro un progetto innovativo di congelatore orizzontale hi-tech, per dare ossigeno a uno stabilimento già col fiatone.

Ma il pensiero va anche all’ultima fabbrica del ‘bianco’ a chiudere in Toscana, la Electrolux di Scandicci: fu la stessa casa madre, anno 2008, a scegliere il subentrante, ossia il fondo Mercatech che annunciava di voler produrre pannelli fotovoltaici. Ma sull’effimera avventura di Italia Solare Industrie l’ultima parola l’avrebbe detta anni dopo il Tribunale di Firenze: truffa e bancarotta, perché il progetto Isi – naufragato formalmente nel 2011 – sarebbe servito solo a catturare i premi che Electrolux aveva pattuito nella cessione dello stabilimento e i contributi pubblici per la riqualificazione del personale. Nell’ottobre 2023 la Corte dei Conti ha condannato i vertici di Isi al risarcimento di un milione di euro all’Inps per la cassa integrazione erogata, e due milioni alla Regione. Oggi l’ultimo tempio fiorentino del fordismo è diventato un polo logistico: e nessuno dei quasi 400 lavoratori Electrolux è stato riassunto in loco.

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Leonardo Testai

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