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30 luglio 2024

Affitti brevi a Firenze, il nuovo stop in centro è stato approvato

Operatori sul piede di guerra, annunciato il secondo ricorso al Tar: e il Salva Casa può offrire una sponda ai contrari.

Palazzo Vecchio, sede del Comune di Firenze

Palazzo Vecchio, sede del Comune di Firenze

I numeri del Consiglio comunale non lasciavano dubbi: e dunque con i voti di Pd, Lista Funaro e Avs-Ecolò, le componenti della maggioranza di Palazzo Vecchio, la delibera di giunta che ripropone lo stop (non retroattivo) agli affitti brevi nell’area Unesco di Firenze è stata approvata, sotto forma di variante al Piano operativo comunale. Terminato l’iter consiliare, sta per cominciare un nuovo contenzioso amministrativo: l’associazione Property Managers Italia ha annunciato il ricorso al Tar della Toscana, così come lo aveva già annunciato Forza Italia.

Il tema degli affitti turistici brevi, per la sindaca di Firenze Sara Funaro, “è un problema che riguarda tutte le città turistiche sia in Italia che in Europa, basti vedere la discussione che c’è ad Atene, Barcellona, e Berlino, che si trovano a fronteggiare questo problema che poi va ad incidere sul mercato degli affitti e di conseguenza a creare delle difficoltà per i cittadini a trovare casa”. I limiti alle nuove locazioni turistiche nel centro storico della città, proposti già dalla giunta Nardella e bocciati una prima volta dal Tar, secondo quanto riferisce Palazzo Vecchio saranno in vigore dal momento della pubblicazione sull’albo pretorio del Comune, in base al principio delle clausole di salvaguardia.

“I limiti di Palazzo Vecchio non portano benefici”

“A Firenze malgrado la delibera dell’ex giunta Nardella – sostiene Lorenzo Fagnoni, presidente di Property Managers Italia e amministratore delegato di Apartments Florence – il numero di residenti in centro non è aumentato, e i prezzi delle locazioni lunghe non sono scesi. Il tentativo di bloccare gli alloggi per i turisti non ha portato risultati, ma il Comune preferisce insistere su questa strada. Eppure, questi ultimi mesi ci hanno dimostrato con limpidezza come limitare la proprietà privata e la libera imprenditoria non porti alcun beneficio concreto alla città. L’unica conseguenza reale è il danno prodotto nei confronti dei tanti fiorentini che hanno la possibilità di ottenere una fonte di reddito, spesso indispensabile, affittando la propria abitazione ai viaggiatori”.

“Siamo preoccupati che questa misura – afferma a sua volta Airbnb – possa essere in contrasto con le normative europee e nazionali. Rischia di penalizzare le famiglie fiorentine dove un host su tre già dichiara di fare affidamento sulle entrate extra derivanti dall’ospitalità per far fronte al costo della vita”. La più grande piattaforma di settore si dice “favorevole a un sistema di regole equilibrato: siamo a disposizione dell’Amministrazione di Firenze per fare la nostra parte nel trovare una soluzione che vada a colpire gli speculatori e tuteli la piccola proprietà, così da incoraggiare un turismo sostenibile, a beneficio di tutti”.

Il Salva Casa cambia le carte in tavola?

Uno dei punti che a Firenze potrebbe essere contestato dai futuri ricorrenti al Tar contro la delibera sugli affitti brevi è nuovo di zecca, e ha fatto rumore in Consiglio comunale: il decreto Salva Casa, convertito in legge lo scorso 24 luglio, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale tre giorni dopo, modifica l’articolo 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia, che disciplina le variazioni relative alle destinazioni d’uso. Un articolo a cui faceva riferimento la delibera della giunta che però nasce prima del Salva Casa.

Il testo del nuovo comma 1-bis dell’articolo 23-ter, introdotto dal Salva Casa, stabilisce che “il mutamento della destinazione d’uso della singola unità immobiliare all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito, nel rispetto delle normative di settore, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni”. Analoga riserva agli strumenti urbanistici comunali è stabilita, nel comma 1-ter, per il mutamento di destinazione d’uso di una singola unità immobiliare tra le varie categorie funzionali. Per le singole unità immobiliari inoltre, recita il comma 1-quater, “il mutamento di destinazione d’uso di cui al comma 1-ter è sempre consentito, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, inclusa la finalizzazione del mutamento alla forma di utilizzo dell’unità immobiliare conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile”.

La questione è stata sollevata da Cecilia Del Re, ex assessora all’urbanistica, ora all’opposizione, secondo cui la nuova formulazione dell’art. 23-ter “dice che i cambi d’uso all’interno della medesima categoria funzionale sono sempre possibili, e toglie poi quello spazio di manovra ai Comuni per limitare, all’interno di una determinata categoria, le possibili facoltà di utilizzo”, dunque alla nuova norma “devono attenersi Regioni e Comuni, che possono solo prevedere soluzioni volte a semplificare ancora di più l’iter”. Ragione per cui, ha sostenuto Del Re, “il testo della delibera che ci è stato sottoposto è divenuto nel frattempo illegittimo, cioè privo di fondamenti normativi oggi vigenti”.

Diversa la tesi della maggioranza. “L’esame della disciplina statale, così come entrata in vigore – sostiene Renzo Pampaloni, presidente della Commissione urbanistica -, consente di ritenere che il comma 1-bis introdotto all’articolo 23 abbia sostanzialmente mantenuto una riserva agli strumenti urbanistici comunali per intervenire, come nel caso della presente variante, con ‘specifiche condizioni’ che regolino l’insediamento di un utilizzo interno alla stessa categoria funzionale”.

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