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15 luglio 2024

Dalla demografia alla geopolitica, ecco i rischi per la Toscana che cresce poco

Il rapporto Irpet stima una crescita del Pil in linea con la media nazionale, ma la produzione industriale flette di più.

Leonardo Testai

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Una Toscana che cresce in linea col dato nazionale – poco, dunque – e che vede emergere grandi rischi di tenuta del proprio sistema economico e sociale nel lungo periodo. E’ il quadro tracciato dai ricercatori dell’Irpet nell’ultimo rapporto presentato dall’istituto. Un rapporto secondo il quale nel 2024 il Pil della Toscana crescerà dello 0,8%, nel 2025 dello 0,8% e nel 2026 dell’1,2%, sostanzialmente in linea con l’andamento nazionale.

Si produce meno, ma si esporta di più (in valore)

Accentua il trend negativo rispetto alla media nazionale, invece, l’andamento della produzione industriale, che nel 2023 in Toscana ha registrato un -3,3% (-2,1% in Italia) e nel primo trimestre 2024 un -4,9% (-3,5% in Italia), dato imputabile secondo l’Irpet all’andamento negativo del comparto moda, specialmente pelletteria, cuoio e calzature. Meglio le esportazioni, almeno secondo il dato a prezzi correnti: il +6,3% nei primi tre mesi dell’anno è assai più brillante del -1,9% medio nazionale, ma è dovuto solo agli exploit di alcune specializzazioni come la gioielleria (-112,9%), la farmaceutica (+41,3%), i macchinari (+28,5%) e l’industria agroalimentare (+25,2%), mentre il dato è negativo per industria della pelle, calzature, filati e tessuti.

Il mercato del lavoro continua ad essere in crescita, nonostante il calo della popolazione in età lavorativa. Il tasso di attività nel 2023 ha toccato il 73,3%, superando quello del 2019 (71,8%): stesso trend per il tasso di occupazione (dal 66,8% al 69,3%) e calo per quello di disoccupazione (dal 6,9% al 5,4%). Dal post-pandemia il numero di dipendenti è sempre cresciuto: nel 2023 si è passati a +38mila unità rispetto al 2022 e a +119mila unità rispetto al 2019. Nel primo trimestre 2024 analogo trend seppur in rallentamento, soprattutto nella manifattura ed in particolare nella moda.

“La ripresa va irrobustita per metterci al riparo”

Per l’istituto sono quattro i rischi strategici o fattori di vulnerabilità che potranno impattare nei prossimi anni sul sistema economico e sociale toscano, e che dunque chiedono alla regione la forza di un rilancio. “E’ una ripresa a velocità differenti tra diversi settori – afferma Nicola Sciclone, direttore dell’Irpet – meglio i servizi, peggio la manifattura. E’ una ripresa che va comunque irrobustita e consolidata se guardiamo avanti, per cercare di metterci al riparo da alcune incognite”.

Il primo fattore di rischio è la dipendenza del sistema produttivo dall’esterno: circa il 65% del valore aggiunto generato in Toscana dalla produzione di beni, servizi esclusi, è attivato da domanda estera. Si sale al 93% se consideriamo anche la domanda che proviene da altre regioni italiane. Se a questo – notano i ricercatori – si aggiunge che la domanda straniera dipende per una buona quota da paesi come Cina e Russia, il rischio di vulnerabilità cresce. E cresce, secondo l’Irpet, anche riguardo all’approvvigionamento di alcuni input produttivi, in particolare per tre filiere importanti come la moda, la farmaceutica e la produzione di macchinari, sebbene l’area Ue rimanga il punto di riferimento.

La Toscana invecchia (e manca la forza lavoro)

Il secondo riguarda il declino demografico ed i riflessi sul mercato del lavoro, con crescenti fenomeni di disaccoppiamento. Oggi, infatti, in alcuni sistemi locali la domanda di lavoro prevale sull’offerta, e il potenziale mismatch è corretto grazie ai flussi di movimenti pendolari e dall’immigrazione, ma nei prossimi dieci anni nel 60% delle unità locali le uscite per pensionamenti non troveranno un corrispondente potenziale flusso in ingresso fra i 20-29enni. I numeri non mentono: se nel 1993 c’erano 88 anziani (60-69 anni) per 100 giovani (20-29), nel 2023 si passa a 143 anziani ogni 100 giovani e a 170 anziani ogni 100 giovani nel 2033.

“Se si riduce la quota di popolazione occupata, significa che quella che rimane dentro il mercato del lavoro dovrà essere più produttiva”, sostiene Sciclone, secondo cui “dobbiamo innalzare i livelli di produttività e di crescita: una sfida complessiva di sistema per combattere la stagnazione salariale che ormai da troppi anni caratterizza la dinamica della ridistribuzione del valore ai lavoratori”. Ed è questo il terzo fattore evidenziato dall’Irpet, che prende in considerazione la relazione tra occupazione, salari e produttività: aumentano i lavoratori nei livelli reddituali più bassi (+3%) e in quelli più alti (+2%), mentre in quelli intermedi la diminuzione è stata del 5%. Infine, una crescita stabile ma lenta rischia di compromettere nel lungo termine la sostenibilità finanziaria del welfare toscano e della sanità.

“Abbiamo bisogno di tutti per risolvere i problemi”

Per il presidente di Confindustria Toscana, Maurizio Bigazzi, il rapporto Irpet “ci dà la fotografia della situazione per darci gli strumenti per poter cercare di attivarci per risolvere il problema. Naturalmente abbiamo bisogno di tutti perché in questo momento da soli si fa poco. C’è bisogno sicuramente anche di un accordo complessivo fra noi e i sindacati dei lavoratori, perché nel sistema moda le grandi griffe vanno bene, purtroppo il resto no, le griffe hanno aumentato i prezzi in maniera esponenziale, se vendono una borsa in meno guadagnano gli stessi soldi mentre purtroppo la filiera soffre, quindi c’è bisogno di dare una svolta a questa situazione.
Abbiamo ovviamente anche sentore di crisi nel metalmeccanico, anche perché la preoccupazione di questa transizione dal motore endotermico al motore elettrico ci porta grande preoccupazione”.

“Crediamo che sia ormai inderogabile arrivare ad un patto sullo sviluppo, la crescita, la buona occupazione e salari adeguati, con servizi pubblici efficienti”, ha affermato a sua volta Paolo Fantappiè, segretario generale della Uil Toscana, secondo cui “si registra un aumento dell’occupazione accompagnato da una riduzione della produzione industriale: questo significa che all’aumento occupazionale non è corrisposto un aumento di produzione, il che si traduce in bassa qualità del lavoro, precarietà, salari bassi e inadeguati. Stiamo parlando di una tipologia di occupazione fragile, non strutturata, povera e precaria, che non offre alcun tipo di garanzie né per l’oggi né tantomeno per il domani”.

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Leonardo Testai

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