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11 dicembre 2024

Esplosione di Calenzano, per gli Ingegneri “il rischio va delocalizzato”

“Dobbiamo avere un territorio più sicuro”, sostiene l’Ordine di Firenze. E la politica pensa a come ricollocare il deposito.

Leonardo Testai
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Una volta, qui, era tutta campagna: lo potrebbero dire, senza timore di essere smentiti, gli autisti di casa al deposito Eni di Calenzano, teatro dell’esplosione che lunedì 9 dicembre ha causato morti e feriti, e anche danni alle aziende del territorio. Capannoni e palazzine venute su, in genere, molti anni dopo il deposito attivo dal 1956, regolarmente indicato fra gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante nel Piano territoriale di coordinamento della Città metropolitana di Firenze.

Un rischio potenziale che per queste tipologie di insediamento industriale, con la direttiva Seveso in poi, è misurato in base alla tipologia e alla quantità di sostanze pericolose presenti all’interno dello stabilimento e non al tipo di lavorazione o attività svolta. A seconda dei quantitativi di sostanze pericolose detenute, uno stabilimento viene dichiarato di Soglia inferiore (Ssi) o di Soglia superiore (Sss): quest’ultimo è il caso del deposito Eni di Calenzano, il cui relativo rapporto di sicurezza è stato valutato più recentemente nel 2021.

Il consumo di suolo è in aumento

“Quando questo rischio è troppo elevato, bisogna cominciare anche a pensare a rimuoverlo”, afferma Stefano Corsi, coordinatore della commissione Ambiente ed Energia dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze, che non si sofferma sul caso specifico dell’esplosione di Calenzano, ma precisa di parlare in termini generali. Proprio l’Ordine, nei giorni scorsi, ha rilanciato l’allarme sul consumo di suolo: nel corso del 2023 in Toscana ne sono stati consumati 350 ettari, un valore in aumento rispetto alla media – non proprio bassa – degli ultimi 20 anni. Con un ulteriore elemento di preoccupazione: oltre il 30% di questi ettari sono in aree a pericolosità per frana, e il 5% addirittura con classe elevata o molto elevata.

“Quando si fanno valutazioni della pericolosità o del rischio – osserva Corsi -, si fa una mappatura della probabilità che avvenga un certo evento in una certa zona. Questo fotografa lo stato attuale e non tiene conto degli elementi che sono presenti, mi dice solo la probabilità di accadimento. Se c’è un’area anche a bassa pericolosità, dove non c’è nulla, e ci vado a costruire qualcosa, è chiaro che sto incrementando la possibilità che avvenga un danno. Quindi può capitare che delle aree siano comunque normativamente compatibili, perché c’era un vincolo che non era forte, che magari semplicemente sconsigliava la costruzione, e in una logica di costi e benefici è stato scelto comunque di costruire”.

“Delocalizzare chi corre rischi, o chi li produce”

Secondo il rappresentante dell’Ordine degli Ingegneri, “su quello che è successo in passato ci si può fare poco, se non il prendere in considerazione, andando avanti, se ci sono occasioni di ricollocamento, di revisione di certe aree. In Italia tendenzialmente quando costruiamo poi ci fissiamo un po’ sull’idea che quell’area sia destinata a quello per sempre. In realtà altri Stati sono un po’ più veloci nel delocalizzare eventuali situazioni, o comunque a prenderlo in considerazione e programmare”. Da qui la possibilità di “delocalizzare i recettori del rischio o chi lo produce, a seconda di cosa convenga a fare, caso per caso”.

In definitiva, secondo il rappresentante degli ingegneri, serve “la percezione dei rischi che ci sono, e delle cose da fare se avviene l’evento critico; e non ricercare il rischio zero, ma accettare certi livelli di rischio che non possono essere risolti. Dobbiamo programmare la riduzione del rischio, perché noi siamo molto bravi magari a mapparlo ma meno a ridurlo, anche pensando di delocalizzare determinate attività; e nel nuovo, dare priorità non al mero aspetto vincolistico, ma ad avere un territorio più sicuro, perché la sicurezza viene prima dell’interesse economico”.

Giani e il sindaco chiedono una riflessione

E la politica, a delocalizzare il deposito carburanti Eni di Calenzano, dopo l’esplosione ci sta facendo un pensierino. “Quando fu realizzato alla fine degli anni ’50 si prevedeva lì l’uscita e l’entrata dell’autostrada, era tutta aperta campagna, e si presentava appropriato, ma oggi no”, ha sottolineato il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, notando che “oggi quella è un’area densamente popolata”. Il sindaco Giuseppe Carovani condivide: “chiediamo, quindi, una riflessione se questo impianto debba rimanere qui”, ha dichiarato, perché “offre un servizio che viene reso ai cittadini”, ma “credo che in questo contesto e in questi termini sia da ripensare”.

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Leonardo Testai

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