L’edizione estiva delle fiere targate Pitti – Uomo dal 14 al 17 giugno; Bimbo dal 22 al 24 giugno; Filati dal 29 giugno al 1 luglio, tutte e tre alla Fortezza da Basso di Firenze – segnerà un altro passo verso il ritorno alla normalità, dopo quelle di giugno-luglio 2021 e di gennaio 2022 che contenevano ancora molti elementi di eccezionalità legati alla pandemia.
I saloni dell’Uomo e del Bimbo si “dividono”
Uomo e Bimbo tornano ad essere due saloni distinti; Pitti Uomo torna alla durata tradizionale di quattro giorni e si anima di eventi dentro e fuori la Fortezza da Basso, complice l’estate e le scuole di moda fiorentine che hanno organizzato sfilate e presentazioni; gli espositori aumentano, anche se non ancora ai livelli pre-Covid.
“Non vogliamo più parlare di ripartenza, ma di una nuova marcia”, hanno spiegato i vertici di Pitti Immagine – il presidente Claudio Marenzi, l’amministratore delegato Raffaello Napoleone, il direttore generale Agostino Poletto – presentando i saloni estivi a Milano.
Mancano gli espositori giapponesi e i compratori russi e asiatici
Il Pitti Uomo ospiterà 640 marchi che presentano le collezioni per la primavera-estate 2023, di cui un centinaio nuovi, per il 38% in arrivo dall’estero. La pandemia ha impedito la partecipazione degli espositori giapponesi (che erano 100-150) e, complice anche la guerra in Ucraina, terrà a casa i compratori russi e asiatici. Scontato il calo di affluenza rispetto al pre-Covid, quando la media era di 20mila operatori, ma si guarderà all’utilità della fiera e alla sua capacità di aprire nuove porte alle aziende.
Sul mercato avvio d’anno brillante, poi lo stop
Intanto l’industria italiana della moda, come ha spiegato Marenzi, è alle prese con tre incognite, dopo un inizio d’anno brillante che aveva segnato il superamento dei livelli preCovid: la guerra in Ucraina che ha minato il clima di fiducia dei consumatori e ha fatto crollare, a partire da marzo, l’export di moda verso la Russia (pari al 3% del totale); il lockdown della Cina, che sta preoccupando soprattutto i grandi marchi solitamente esposti verso quel Paese; le turbolenze delle aziende “a monte” della filiera, che stanno soffrendo l’aumento dei costi energetici, logistici e delle materie prime, e anche la scarsa disponibilità delle stesse. “Per molto tempo abbiamo pensato solo a vendere – ha detto Marenzi – d’ora in poi dovremo capire anche come produrre: è una grande sfida per ridisegnare il sistema, integrando monte e valle del nostro lavoro”. Sull’andamento 2022 Marenzi è ottimista: “A fine anno torneremo ai livelli preCovid, anche se molto dipenderà dalla Cina che oggi rappresenta la grande incognita”.
Silvia Pieraccini